Sara Baume torna nelle librerie italiane con L’occhio della montagna, un nuovo romanzo tradotto da Ada Arduini per NN editore. Leggo poco di montagna, forse l’ultima esperienza è stata con Paolo Cognetti, e prima ancora Franco Faggiani (Il suo “La manutenzione dei sensi” è sempre un libro che consiglio), ma soprattutto pochissima ambientazione montana e naturalistica nelle opere di scrittrici. Ho riportato un equilibrio con L’occhio della montagna in cui Baume ritrae una montagna differente, meno performativa e maschile (!!!), spettatrice col suo occhio divino delle esistenze di Bell e Sigh, una donna e un uomo di età indefinita che lasciano le loro vite per ritirarsi in un vecchio casolare ai piedi di una montagna nella campagna irlandese, «curiosi di vedere cosa sarebbe successo se due misantropi solitari avessero provato a vivere insieme». Con loro due cani, Pip e Voss, ad alleviare la solitudine più per chi legge che per i due protagonisti. Bell e Sigh, d’altro canto, fanno poco se non ricoprirsi di polvere e muschio mentre intorno a loro le piante e le stagioni prosperano.
Baume torna su due nodi cardini della sua poetica: storie di persone emarginate, volontariamente come nel caso di Bell e Sigh – o per volontà altrui come per Ray, uno dei protagonisti del suo esordio fiore frutto foglia fango, uno dei miei libri preferiti in assoluto, che condivide la sua esistenza trasandata con un altro misantropo, il cane Unocchio -, e l’evolversi di una storia attraverso i dettagli più specifici. Baume è capace, allora, di narrare sette anni dell’esistenza di due vite che, in tempi di grandi dimissioni, si dimettono dalla vita e da una certa socialità per trovare equilibrio nel ciclo delle stagioni. Un risultato eccezionale per un romanzo privo di dialoghi e azioni. Su L’indiependente c’è la mia lunga analisi con ragionamenti di stile e qualche paragone con la piega “rurale” di una certa letteratura.
Per conoscere meglio l’autrice
Leggi l’analisi del romanzo d’esordio di Sara Baume, fiore frutto foglia fango.