Il risveglio di Kate Chopin

Copertina del romanzo Il risveglio: la scritta del titolo su uno sfondo blu.

Copertina del romanzo Il risveglio: la scritta del titolo su uno sfondo blu.La prima edizione statunitense de Il risveglio di Kate Chopin, ora tornato nelle librerie italiane con Einaudi nella traduzione di Anna Nadotti, è del 1899. Edna Pontellier, la protagonista, è una giovane donna sposata a Lèonce, agente di cambio, prigioniera del suo ruolo di moglie e madre, l’unico consentito a una donna della fine del XIX secolo. Il risveglio narra la storia della sua rinascita, del tentativo di liberarsi dalle catene imposte dal sistema patriarcale che abita, spinta dal desiderio passionale, ma anche dall’ambizione di riappropriarsi della propria individualità. La libertà di Edna fu la sua condanna; il romanzo fu ritenuto, dalla critica dell’epoca, immorale e pericoloso. Kate Chopin smise, di fatto, di scrivere e finì nell’oblio. Il movimento femminista statunitense ha recuperato la sua memoria, riportandola alle stampe più di sessant’anni dopo e consacrandola come precorritrice della narrativa femminista statunitense. 

L’analisi de Il risveglio e dell’eredità di Kate Chopin è su L’Indiependente.

Per approfondire

L’analisi del romanzo di Barbara Kingsolver, premio Pulitzer 2023.

L’analisi di Carmen Maria Machado su The Paris Review.

Come reagì Kate Chopin alle critiche al suo romanzo.

Un racconto di Kate Chopin del 1896, The Story of an hour.

Willa Cather e la critica a Chopin.

Le eroine del modernismo di Kate Zambreno

Il libro Eroine di kate Zambreno in una libreria. In copertina i volti delle protagoniste del saggio

Il libro Eroine di kate Zambreno in una libreria. In copertina i volti delle protagoniste del saggioEroine di Kate Zambreno (Nottetempo, traduzione di Federica Principi) è un saggio, un memoir e un manifesto. Il punto di partenza è l’ossessione personale dell’autrice per le biografie delle mogli del modernismo, autrici e artiste mogli dei grandi geni del modernismo in lingua inglese, relegate all’oblio oscurate dalla fama dei mariti. Donne silenziate dalla storia e dal sistema patriarcale che ha diagnosticato loro ogni forma di disturbo disperdendo il patrimonio artistico che avevano messo insieme. In questo testo ampiamente documentato, ma anche istintivo e furioso, Zambreno racconta le loro storie e quelle delle autrici che sono venute dopo ma che hanno subito lo stesso trattamento. Un’occasione importante per riflettere sull’oblio a cui la narrativa scritta da autrici è destinato, un compendio della vita tragica di Zelda Fitzgerald, Vivien(ne) Eliot, ma impossibile non citare anche Virginia Woolf, Jean Rhys, Kate Chopin, e, tra le altre, anche Charlotte Perkins Gilman e il suo racconto fondato della narrativa femminista “La carta da parati gialla”.

L’articolo completo è su L’indiependente.

Per approfondire

Nell’articolo sono citati “La carta da parati gialla” nella versione pubblicata da Galaad edizioni tradotta da Luca Sartori e con un’introduzione di Alessandra Calanchi.
Scrivere femminista di Azélie Fayolle edito da Nero nella traduzione di Laura Marzi.
I dive under covers, l’analisi di Sheila Heiti.

Orbital, Samantha Harvey

copertina del romanzo orbital in una libreria

copertina del romanzo orbital in una libreriaOrbital di Samantha Harvey, in Italia pubblicato da NN editore nella traduzione di Gioia Guerzoni, è un romanzo unico nel suo genere: breve, lirico e pressoché privo di trama. Quattro astronauti e due cosmonauti fluttuano in una stazione spaziale, modellata sulla Stazione Spaziale Internazionale, che per ogni giorno terrestre percorre sedici orbite intorno al pianeta.

Shaun, Roman, Anton, Chie, Nell e Pietro i loro nomi, due russi, un italiano, un americano, un’inglese e una giapponese, che per un giorno intero della loro esistenza in orbita si dedicano non solo agli esperimenti per cui sono lì, ma danno spazio a ricordi, pensieri e ragionamenti sul senso del loro agire, sull’esistenza umana e sul pianeta che chiamiamo casa. La meraviglia di questo romanzo, premiato col Booker Prize 2024, sta nella assoluta convinzione che siamo tutto e niente in questo spazio infinito e sconosciuto in cui la terra fluttua indisturbata,  noncurante della devastazione che stiamo portando.

L’articolo completo dedicato a Orbital è su L’indiependente.

Per approfondire

Renata Vattelapesca, Catherine Guérard

copertina del libro renata vattelapesca, con la testa di un asino che esce da una finestra aperta

Nel 1967 il romanzo Renata Vattelapesca (in originale Renata n’importe quoi) di Catherine Guérard risulta tra i finalisti del Goncourt, il più importante premio letterario francese. Quando fu il momento di annunciare il titolo del libro vincitore, dal ristorante Drouant nel secondo arrondissement di Parigi, fu fatto il nome di André Pieyre de Mandiargues, con La Marge (Il margine nell’unica edizione Feltrinelli del 1968). Guérard e la sua Renata scivolarono nell’oblio. Dopo Renata Vattelapesca, infatti, il suo secondo romanzo preceduto da Ces princes, Guérard non pubblico più nulla e morì nel 2010. La giornalista e scrittrice, nascosta dietro uno pseudonimo perché in realtà di cognome faceva Dreyfus, con poche altre pubblicazioni con altri alter ego, torna alla ribalta nel 2021, quando l’editore francese Chemin de fer ripubblica il romanzo e vince il premio Mémorable nel 2022, destinato alle opere riscoperte. Nel 2024 tocca a Ventanas edizioni portarlo per la prima volta in Italia, nella traduzione di Paola Vallatta.

Renata è la protagonista assoluta di questo romanzo breve, ma talmente breve che è composto da una frase sola, ma lunga 183 pagine, in cui tutta la vicenda si dipana senza pause e senza noia perché l’impressione è quella di essere nella testa di Renata/Catherine e seguirla nella ricerca della libertà. Niente punti, né altri segni d’interpunzione a parte le virgole. Si legge prendendo un bel respiro all’inizio e si prosegue in apnea, possibilmente in una sola sessione di lettura, al massimo due, inseguendo il rimuginare di Renata. Chissà se anche Guérard l’ha scritto in una sola sessione, al massimo due. 

Il romanzo si apre con un dialogo a tre fra Renata, di cui non conosciamo ancora il nome, e la coppia che le ha dato lavoro come domestica, i signori Boisseneau. Ha appena comunicato loro che ha intenzione di andarsene, anche se non sa dove, e nello sconcerto e nel trambusto generale non lo capisce nemmeno chi legge. Dove vai, Renata, così di fretta senza una valigia, senza una meta, senza dare spiegazioni a nessuno? È Renata stessa a rispondere: 

non volevo più parlare con quella portinaia né parlare con nessuno per un po’ di tempo, volevo pensare alla mia libertà, senza chiacchierare, senza parlare, è curioso la gente parla tutto il tempo senza sapere se vi infastidisce se vi disturba, e io avevo voglia di silenzio non di silenzio senza rumore ma di silenzio dalle chiacchiere, e pensavo La libertà è anche il silenzio, e mi dicevo Sono libera, sono libera, con il silenzio e il sole ed è come se fossi in vacanza e se c’è la pioggia non m’importa

E poi Renata va davvero via, anche se non sa dove, ma sale su un mezzo qualsiasi diretto dappertutto:

Non è vita dover andare da qualche parte, ho pensato, il bello è non sapere dove si va e neppure cosa si farà, La vita dovrebbe essere sempre così, ho pensato, e non svegliarsi alle sette, alle otto

dar da mangiare ai polli, alle nove prendere la metro, alle dieci scuotere i tappeti, alle undici portare un pacco alla posta, e così via tutto il giorno

Per Renata il valore più importante, l’assoluto a cui si dovrebbe tendere è la libertà: libertà di partire, lasciare la propria vita, portarsi appresso solo qualche cartone e tante lettere, e vagare per Parigi, tra strade, alberghi e panchine. Non vale nulla nemmeno il suo nome, infatti quando a metà romanzo circa gli viene chiesto in un incontro fortuito lei risponde Renata Vattelapesca, e quello va via soddisfatto. È tutto assurdo con Renata, ma ha anche profondamente senso. Anche queste sue lettere trascinate come bene prezioso e imprescindibile, ma mai consultate e spesso lasciate sotto la pioggia. Pare fossero una rappresentazioni delle lettere che la scrittrice si scambiava con il suo amato Paul Guimard, con cui aveva avuto una relazione, ma chi lo sa. Anzi, no, lo sa solo Renata. Ogni tanto si chiede anche dove possa essere Paul, l’autore di quegli scritti, ma realizza presto che non ha senso cercare qualcuno che non vuole farsi trovare. Meglio concentrarsi sulla libertà. E quindi anche per Parigi, Renata prende lettrici e lettori a braccetto e li trascina nei suoi ragionamenti, un viaggio che in realtà è nella sua testa che cerca il canto degli uccelli, cieli grandi e fugge da ogni costrutto e simulacro che possano confinare i suoi bisogni. L’unico dettaglio controllato del romanzo è la prosa, meravigliosamente calibrata senza affanni apparenti, solo fluidità di pensieri. Bisogna avere una maestria particolare per arrivare a questa prosa, meno male che qualcuno l’ha ripescata dalle ragnatele del tempo e della narrativa femminile bistrattata, snobbata, ignorata da chi la letteratura la commenta ma non la legge tutta, solo quella degli uomini.

Renata, alla fine, conquista il suo cielo, il suono del canto degli uccelli e un bosco in cui esistere libera come una donna che abbandona la sua vita già stabilita, costretta nei binari del lavoro, delle relazioni, delle aspettative e delle sovrastrutture di una società che non ha mai pensato a lei come individuo senziente, ma come pedina di un gioco a cui non era stabilito che potesse partecipare. Sii libera per sempre, Renata.

Diluvio di Stephen Markley

Copertina del libro Diluvio di Stephen Markley fotografato in una libreria.

Quando Stephen Markley esordiva con Ohio, Diluvio già esisteva in multiple versioni. Un progetto ambizioso che ha impiegato più di dieci anni per essere completato, un primo manoscritto di 1500 pagine che poi è diventato il romanzo di 900 pagine uscito nelle librerie statunitensi (la versione italiana ne ha 1300 ed è stata pubblicata da Einaudi nella traduzione di Manuela Francescon e Cristiana Mennella). Stephen King l’ha definito un classico moderno, l’endorsement non poteva essere più promettente, ma pur rimanendo Markley uno scrittore di talento, non si potrebbe gestire un romanzo di questa portata e i suoi sette personaggi principali altrimenti, il risultato è che Diluvio è troppo di tutto: troppe pagine, troppi personaggi, troppa ambizione. E pure se è stato presentato come un monito al futuro del pianeta, con delle inquietanti e accurate anticipazioni degli eventi del 2025, alla fine ci si chiede se questo modo di raccontarlo sia davvero efficace.

Copertina del libro Diluvio di Stephen Markley fotografato in una libreria.
Foto di Alessia Ragno.

Sette personaggi principali connessi da una sola catastrofe, quella climatica, che si dispiega in trent’anni di storia statunitense (dal 2013 al 2040 circa) e un inasprimento generale delle condizioni di vita, ma anche del clima sociale e politico. Ognuno dei protagonisti reagisce come può, ma ognun* è inadeguat* a suo modo. Spiccano su tutti lo scienziato Tony Pietrus, l’esperto che diventa nemico pubblico, e il filo conduttore della narrazione, Kate Morris, sfacciata, aggressiva, impossibile, da Markley descritta come eroina femminista, ma solo nel senso che un uomo sa dare questa definizione.

L’analisi completa è su L’Indiependente.

Per approfondire

Stephen Markley parla del risultato delle elezioni americane e di Diluvio per Climate Majority Project.

Diluvio recensito sul Guardian.

Diluvio sul NYTimes.

Martire! di Kaveh Akbar

Romanzo Martire! di Kaveh Akbar fotografato sullo scaffale di una libreria

Romanzo Martire! di Kaveh Akbar fotografato sullo scaffale di una libreriaCyrus Shams è un giovane poeta iraniano-americano, nato a Teheran e arrivato nell’Indiana col padre a due anni a seguito della morte della madre nel disastro aereo del volo iraniano abbattuto per sbaglio da una nave da guerra americana, nel 1988 durante la guerra Iran-Iraq. È il protagonista del romanzo Martire!, esordio del poeta iraniano-americano Kaveh Akbar, pubblicato in Italia da La Nave di Teseo nella traduzione di Chiara Spaziani.
Cyrus, un passato di dipendenze da alcool e droga alle spalle, si imbarca in un progetto sul martirio, nel senso più secolare e pacifista della parola, per cui scrive poesie e dialoghi immaginari su martiri del passato e coinvolgendo anche i genitori. La sua ricerca del senso della morte e della vita lo porta, poi, a New York durante l’ultima performance dell’artista Orkideh, che consegna la sua di morte a chiunque voglia parlarle.
Con una prosa immaginifica e brillante, Akbar costruisce un romanzo accorato, serio e comico allo stesso tempo, con una cura particolare per le parole che si incastrano in una sequenza che spicca nel panorama letterario contemporaneo e che racconta gli Stati Uniti dal punto di vista di una generazione che tentano con ogni mezzo, e inutilmente, di soffocare.

L’analisi del romanzo è su L’indiependente.

Per approfondire

Kaveh Akbar in conversazione con Clint Smith nella libreria Politics and Prose.

Il poeta nell’intervista con Joseph Earl Thomas.

La recensione di Martire! su Npr.

Martire! sul New York Times.

 

L’insegna luminosa

Bari strada con nebbia
Sfiancato dal dibattito che più l’ha coinvolto nei giorni natalizi, ovvero se a Bari facesse freddo davvero o si trattava di una parvenza d’inverno, concentrato soprattutto sul ruolo dell’umido capace di abbassare la temperatura percepita e raggiungere le ossa gelandole dall’interno, oppure banale patina di goccioline d’acqua appiccicate a ogni auto, edificio e persino sul portone di casa, il giovane P. passeggia da solo nella nebbia, la novità metereologica dell’anno appena iniziato. A vederla appare candida e fradicia e più volte P. tenta di afferrarla con una mano per capirne la consistenza, ma più si avvicina e più quella si ritrae dal suo tocco bambino. Quello che deduce lo immalinconisce: se gli oggetti lontani appaiono ovattati nei contorni ed emergono con pudore a ogni passo di lui, le immediate vicinanze mantengono l’apparenza spoglia e priva di mistero. È la solita vita di P. che non si arrende alla nebbia.

Bari strada con nebbiaNon ci sono altre anime in giro, persino il bar è deserto, ma sempre illuminato con entusiasmo. Il centro esatto delle coreografie di LED multicolore è una stella grande quanto l’ingresso, uno stargate natalizio che a P. è piaciuto dal primo momento in cui l’ha visto. Ha provato anche a cercarne una versione più contenuta per il suo balcone di casa, ma la più piccola, alta come un bambino, costava una fortuna. Con cento euro di lucine, ci aveva ragionato a fondo, avrebbe dovuto rinunciare a dieci cene con la pizza d’asporto, tre pranzi con gli amici quando li avrebbe rivisti, undici film al cinema da solo e persino sette spese essenziali dal fruttivendolo vicino casa. Sconfitto dal rigore logico dei conti, P. aveva optato per una mesta serie di luci bianche alimentate da tre pile stilo, rivelatesi presto incapaci di reggere la pressione del timer dell’accensione notturna. Si sono affievolite già intorno al dieci dicembre, con somma mestizia di P. e forse anche del quartiere intero che, senza dichiararlo, contava anche sul suo balcone addobbato a festa. A pensarci adesso, a passeggio nella nebbia, gli si pianta in mezzo alla fronte una tristezza malsana che immagina evidente come un’insegna luminosa che lo irride. Eccolo qui, l’uomo triste senza luci e senza amici in questa città che non gli appartiene, ma scritto con mille luccicanti LED multicolore. Nella vergogna, lo consola solo il pensiero che, in una notte come questa, la nebbia ne attenuti i contorni così da renderlo finalmente libero. P. esprime, allora, il primo desiderio dell’anno e lo fa con la voce solenne che rimbomba nella testa: «Vorrei raccogliere questa nebbia bianca e conservarla nelle tasche per attenuare i contorni dell’insegna luminosa che ho in mezzo alla fronte e far credere che sia una stella, la più brillante del quartiere, la più colorata della città». Conclusa la formula magica, P. si concede un ultimo tentativo: allunga le braccia davanti a sé e tende le mani fredde verso il bianco in fondo alla strada. Finalmente la sente. È nebbia lattiginosa e fresca, proprio come la immaginava, soffice come cotone, voluminosa come ovatta. Ne pizzica giusto un assaggio, l’essenziale per trasformare in stella la sua insegna luminosa personale, e lo ripone nelle tasche. Poi, con i talloni sollevati e la testa più leggera, riprende a camminare verso casa abbracciando il bianco che gli viene incontro.

Foto di Alessia Ragno.

I veleni dell’Iowa: Erediterai la terra di Jane Smiley

Copertina del romanzo Erediterai la terra: una donna bionda di spalle osserva un campo di grano

Copertina del romanzo Erediterai la terra: una donna bionda di spalle osserva un campo di granoÈ il 1979 nella fittizia contea di Zebulon in Iowa, cuore del Midwest statunitense, e Larry Cook decide di suddividere i suoi mille acri di possedimenti alle tre figlie, Ginny, Rose e Caroline, in un passaggio di consegne che ricalca il Re Lear di Shakespeare. È questa l’idea di partenza di Erediterai la terra, il romanzo di Jane Smiley del 1991, vincitore del premio Pulitzer, tornato nelle librerie italiane nell’edizione de La Nuova Frontiera tradotta da Raffaella Vitangeli.
Ispirazione shakespeariana, ma svolgimento tutto originale per un romanzo che è un’epopea moderna che riverbera anche nel contemporaneo: è in quella stessa società patriarcale, violenta e oppressiva che si fondano le radici degli Stati Uniti attuali. Smiley porta sullo stesso piano narrativo temi differenti: intanto la farmer crisis degli anni ’80 nel cuore agricolo degli Stati Uniti, la svolta femminista di una storia antica (il Re Lear per l’appunto), e la costruzione di personaggi complessi che affondano prima nell’inedia, poi nella disperazione e infine riconquistano il loro posto nel mondo, ma a caro prezzo. Su tutte e tutti svetta Ginny, la voce narrante, dapprima conciliante fino quasi a diventare martire del padre violento, e poi fenice che risorge dalla distruzione della sua famiglia.

Jane Smiley fotografata da Irene Medina, per gentile concessione de La Nuova Frontiera.
L’analisi del romanzo e della poetica di Jane Smiley è su L’indiependente.

Per approfondire

King Lear in Zebulon County, la recensione sul New York Times nel 1991

A talk with Jane Smiley

John Updike scrive di Jane Smiley

Due interviste di Jane Smiley in occasione del lancio dell’opera teatrale tratta da Erediterai la terra a Des Moines in Iowa.
Jane Smiley alla Des Moines Metro Opera 
Alla Iowa Pbs

Donne nella nebbia di Laura Acero

Donne nella nebbia della scrittrice Laura Acero, tradotto da Serena Bianchi, è la mia introduzione fortunata al catalogo di Ventanas.
Siamo in Colombia, per la precisione nel páramo di Sumapaz, alle porte di Bogotà. un luogo antico per la sua storia, ma estremamente moderno per criticità. Ogni páramo, territorio tipico degli altopiani tropicali al di sopra dei tremila metri diffusi in Centro America, ma anche nel nord-ovest africano, è minacciato duramente dalla crisi climatica in atto, ma ancora di importanza cruciale per la Colombia, più in particolare per Bogotà nel caso di Sumapaz, perché trattasi dell’unico serbatoio idrico della capitale ora minacciato da urbanizzazione e cambiamento climatico. 

Una donna, di cui non viene mai svelato il nome, è in viaggio verso Sumapaz, per condurre un laboratorio di scrittura con le donne del luogo, ma anche per distaccarsi da una maternità che l’ha stravolta. Un romanzo breve e importante intanto per l’ambientazione, cruciale per la storia del paese, ma anche nell’ottica ecologica vista l’importanza di certi ecosistemi per la sopravvivenza umana, ecosistemi puntualmente minacciati dal cambiamento climatico. Ma Donne nella nebbia è importante anche per il ritratto di un mondo arcaico e, ovviamente, patriarcale che opprime e abusa. A contrastarlo un’unica forza: le comunità femminili come quella che va a formarsi per il laboratorio di scrittura. 

L’analisi completa del romanzo è su L’indiependente.

La preda, Damon Galgut

Copertina de La Preda, romanzo di Damon Galgut. un paesaggio oscuro di campagna e una croce in primo piano.

Copertina de La Preda, romanzo di Damon Galgut. un paesaggio oscuro di campagna e una croce in primo piano.E/o edizioni pubblica in Italia La preda, un libro di Damon Galgut del 1995, quando nella prima metà della sua carriera di scrittore, e ancora lontano dal Booker Prize conquistato nel 2021 con La promessa, l’autore sudafricano esplorava il suo habitat naturale, ovvero le storie di uomini tormentati in un Sudafrica spietato. La preda è un romanzo breve e circolare, che narra il dualismo atavico tra vittime e carnefici e ne esplora le contraddizioni. La vicenda è quella di un uomo, un fuggitivo senza nome, che nella sua fuga incontra un prete in viaggio verso la sua nuova congrega. A seguito di un alterco fra i due, il fuggitivo uccide il prete e ne assume l’identità. Il suo futuro prossimo, però, è minato continuamente dal senso di colpa e da drammatiche coincidenze. Echi immediati di Uomini e topi di Steinbeck, con una miseria più moderna, ma non certo meno tragica, e un’ambientazione sviluppata sia nel reale che nel piano onirico, luogo in cui gli spettri del senso di colpa sono più difficile da arginare.

L’analisi completa del romanzo è su L’Indiependente.