L’Autobiografia in movimento di Deborah Levy

romanzi e libri di Deborah Levy esposto in una libreria
romanzi e libri di Deborah Levy esposto in una libreria

In una delle tante interviste, la scrittrice, drammaturga, poeta britannica di origini sudafricane Deborah Levy afferma che la scrittura della sua Autobiografia in movimento, una trilogia di volumi, le ha cambiato la vita, nonché la prospettiva come scrittrice e come donna. Quello che Levy non aggiunge è che la trilogia composta da Cose che non voglio sapere, Il costo della vita e Bene immobile, cambia non solo chi l’ha scritta, ma anche chi la legge. Non si è più le stesse persone dopo aver letto tutto ciò che Levy circostanzia e realizza nel corso della sua vita come donna, ovvio, ma anche come scrittrice e femminista.
L’autobiografia in movimento è pubblicata in Italia da NN editore nella traduzione di Gioia Guerzoni, in un formato memorabile e prezioso, tanto quanto il lavoro intellettuale di Levy. Non si tratta però di una autobiografia canonica, non c’è la nostalgia, il rigido ordine cronologico, né la voglia di dire così tanto di sé. L’autobiografia in movimento è, piuttosto, un ibrido: talvolta saggio, talvolta narrativa di viaggio, altre volte autobiografia. E per sostenere le sue tesi, come autrice e pensatrice, Levy chiama a sé la storia della letteratura e tutte le autrici e gli autori che l’hanno resa ciò che è adesso: una delle più grandi nonostante un mondo patriarcale, costruito da uomini per altri uomini a loro immagine e somiglianza.

L’analisi completa della trilogia di Autobiografia in Movimento di Deborah Levy è su L’Indiependente.

Per approfondire

Deborah Levy ha scritto anche numerosi romanzi, L’uomo che aveva visto tutto è pubblicato da NN editore.

Deborah Levy intervistata dal New Yorker.

Deborah Levy in conversazione con lo scrittore Andrew Durbin.

Un video dell’autrice inglese che racconta il suo approccio alla scrittura.

Biografia di X di Catherine Lacey

copertina del romanzo biografia di X di Catherine lacey, due occhi di donna di profilo

copertina del romanzo biografia di X di Catherine lacey, due occhi di donna di profiloBiografia di X, l’ultimo romanzo di Catherine Lacey edito da SUR nella traduzione di Teresa Ciuffoletti, è un meta romanzo, un esperimento narrativo. X è stata la più grande artista statunitense del Novecento, la sua arte ha spaziato in ogni ambito, dalla scrittura, alla musica, passando per le installazioni e le performance audiovisive. Di lei viene pubblicata una prima biografia non autorizzata e sua moglie, CM Lucca, corre ai ripari per proteggerne l’eredità artistica con un lungo lavoro di ricerca che la porta a scoprire tutto ciò che di lei non ha mai saputo.

X, ovviamente, non è mai esistita ed è frutto dell’immaginazione di Lacey che costruisce un’intricata rete di documenti, fotografie e materiale d’archivio per sostenere la credibilità di questa biografia immaginaria. Il percorso per arrivare a conoscere il suo passato è doloroso per CM e complesso per chi legge, navigando a vista in una linea temporale che si chiama Novecento, ma che in realtà è una sua versione distopica. Nel 1945, infatti, gli Stati Uniti si sono divisi in Territori del Nord e Territori del Sud. Questi ultimi, luogo natale di X, sono una teocrazia fascista che annulla le libertà individuali, soprattutto delle donne. Ed è proprio la libertà individuale il perno della produzione artistica di X: camaleontica, iconoclasta, irriverente, una donna sopravvissuta al suo passato e disposta a tutto per dimenticarlo, persino a ridurre il suo nome a una sola lettera.

In parallelo, si diceva, c’è la vicenda di CM, la vedova, che dalla scomparsa di X si ritrova a districare tutto quello che è stato nascosto in una relazione tossica e sbilanciata nelle dinamiche di potere.

L’analisi di Biografia di X di Catherine Lacey è su L’indiependente.

Per approfondire

L’intervista a Catherine Lacey per Another Magazine e il racconto della genesi del romanzo.

L’analisi del romanzo sul Guardian.

“A love story in reverse”, l’intervista a Vogue USA.

“A provocative novel in disguise”, la recensione del New Yorker.

Catherine Lacey nel podcast Lit Up.

Catherine Lacey al Circolo Lettori con Claudia Durastanti e Martina Testa. 

L’intervista: Milena Agus, Notte di vento che passa

Copertina romanzo Notte di vento che passa di Milena Agus: illustrazione di una ragazza legge un libro seduta sul ramo di un abero

Copertina romanzo Notte di vento che passa di Milena Agus: illustrazione di una ragazza legge un libro seduta sul ramo di un aberoCosima è una giovane donna che prova a capire il mondo, vive in una Sardegna luminosa e dolente tra Cagliari e il suo entroterra, con una madre avvelenata dalla vita, un padre sognatore e una famiglia a pezzi. A ricoprire un ruolo fondamentale nella sua formazione anche una professoressa di lettere e l’amico di sempre, Abya Yala, ma soprattutto i libri e le storie che contengono. La scrittrice cagliaritana Milena Agus torna al romanzo con Notte di vento che passa edito da Mondadori, opera che fa della letterarizzazione della vita il suo punto focale.
Letterarizzare significa leggere il reale con la lente del poetico, della letteratura, perché tutto si può ricondurre a una storia che è stata raccontata e talvolta scomparire per un poco in quella dimensione aiuta a rendere più tollerabile il reale. Con una grazia e una disponibilità impareggiabili, Milena Agus, autrice di lungo corso, finalista allo Strega con il suo Mal di Pietre, storia di una donna atipica e incompresa a partire dal Secondo Dopoguerra, mi ha concesso questa intervista. Il tema portante è l’identità e insieme parliamo di famiglia, di scrittura, di Sardegna e di come ci si realizza in questo sud avaro e bellissimo, se grazie a lui o suo malgrado.

Per approfondire

La nuova edizione di Mal di Pietre, Nottetempo.

Foto di Alessia Ragno.

Olivia Manning, La grande fortuna

Copertine inglese e italiana dei libri di Olivia Manning

La vita di Olivia Manning è stata un romanzo, non solo per le peripezie di gioventù in giro per Europa e Medio Oriente inseguita dalla Seconda guerra mondiale, ma soprattutto perché dedicata con convinzione alla letteratura in cerca del riconoscimento che meritava. Scrittrice prolifica di romanzi, giornalista, corrispondente di guerra, poetessa, autrice per la BBC una volta tornata in patria dopo la guerra, Manning ha lottato tutta la vita per rendere la sua scrittura immortale. Il riconoscimento, purtroppo, arriva dopo la morte della scrittrice, quando nel 1987 il suo capolavoro, ovvero la saga Fortunes of war viene trasposta in una serie televisiva di grande successo. La vicenda è quella dei giovanissimi coniugi Prince, Guy e Harriet, che arrivano nel settembre del 1939, alle porte della guerra, a Bucarest in Romania.

Fortunatamente Olivia Manning torna nelle librerie italiane proprio con la prima parte di Fortune of war, ovvero l’atto primo della trilogia dei Balcani, La grande fortuna, nella traduzione di Velia Februari per Fazi editore. Il viaggio di Harriet e Guy è appena iniziato.

 

L’analisi del romanzo e un ritratto letterario di Manning è su L’indiependente.

Per approfondire

Feminize your canon è la rubrica di The Paris review dedicata alle scrittrici dimenticate. La puntata dedicata a Olivia Manning.

Un articolo di archivio del NYTimes dedicato alla scrittrice britannica.

La voce di Olivia Manning in un programma radio della BBC del 1969.

La miniserie BBC tratta da Fortunes of war con Kenneth Branagh ed Emma Thompson.

Amici e ombre, l’esordio nella narrativa di Kavita Bedford

copertina del libro amici e ombre di kavita bedford con una foto in bianco e nero di una spiaggia di scogli, un uomo e un cane

Kavita Bedford, scrittrice e giornalista australiana, esordisce nella narrativa con Amici e ombre, Edizioni EO, tradotto da Leonardo Gandi.

È la vicenda di una protagonista senza nome, trentenne precaria nella gentrificata Redfern, sobborgo di Sidney, e i millennial in distress che le gravitano incontro. Ai problemi dell’esistenza, tra precarietà e l’essere stati lanciati nella vita adulta senza gli strumenti per affrontarla, si aggiunge un lutto personale che rielabora a piccoli passi senza risparmiarsi. Tra storie di immigrazione, gentrificazione di interi quartieri e ragionamenti su classismo e privilegio, la protagonista e voce narrante ci prova a diventare responsabile, centrata, refrattaria alle crisi esistenziali, ma semplicemente il sistema in cui vive non glielo consente.

E in questo Sidney è come Parigi, Milano, Napoli e la straniante periferia barese in cui abito.

copertina del libro amici e ombre di kavita bedford con una foto in bianco e nero di una spiaggia di scogli, un uomo e un cane

In copertina, uno spaccato di vita sugli scogli del fotografo Andrew Quilty a ritrarre individui che potrebbero essere felici, ma anche sull’orlo del baratro, in un eterno e complesso altalenare.
Come le nostre vite adesso.

Leggi l’analisi del romanzo su L’indiependente.
Photo credits: Alessia Ragno.

La gabbia dei conigli, Tess Gunty

copertina del romanzo la gabbia dei conigli di tess Gunty: la sagoma di una donna con un fiore in mano, il volto nascosto

L’esordio della scrittrice Tess Gunty si chiama La gabbia dei conigli, in Italia edito da Guanda nella traduzione di Alba Bariffi, ed è il romanzo vincitore del National Book Award for Fiction del 2022. Si tratta della più giovane scrittrice a vincere dai tempi di Philip Roth, che all’epoca della vittoria per Goodbye, Columbus, nel 1960, aveva 27 anni.

Nelle intenzioni, La gabbia dei conigli è un romanzo polifonico, ricco di personaggi stravaganti e ossessivi, tutti abitanti della Conigliera, un complesso residenziale claustrofobico ricavato da vecchi alloggi per operai della immaginaria fabbrica automobilistica Zorn dell’altrettanto immaginaria città di Vacca Vale, Indiana. Vacca Vale è il simbolo di tutte quelle città del Midwest statunitense, nella Rust Belt per la precisione, che hanno conosciuto il declino economico dopo la chiusura improvvisa delle fabbriche manifatturiere che tanto avevano promesso.

In questo contesto decadente, svetta la storia di Blandine Watkins, un’eterea diciottenne troppo piccola per innescare una rivoluzione, ma determinata a fare la sua parte. Fra dialoghi psichedelici, ossessioni malsane e solidi discorsi anticapitalismo, Blandine diventa una nuova eroina della narrativa statunitense: lucida, visionaria e, all’occorrenza, portatrice sana di rabbia. L’analisi del romanzo, tra riferimenti letterari, storici e cinematografici – tra cui Michael Moore, Maggie Nelson e Joyce Carol Oates e un suo romanzo di vent’anni fa a cui sono molto legata – è su L’Indiependentee

Per approfondire alcuni temi dell’analisi

Nell’esergo del romanzo, Gunty cita un dialogo estratto dal primo documentario di Michael Moore, Roger & Me, del 1989. Si tratta del racconto del declino economico della città di Flint, in Michigan, luogo natale di Moore, a seguito della chiusura della fabbrica General Motors e la perdita del lavoro da parte di trentamila operai.
Il Roger del titolo è Roger B. Smith, l’allora amministratore delegato della General Motors.
Su Youtube è disponibile il trailer del documentario.

Nell’analisi su L’Indiependente cito anche Bestie, romanzo di Joyce Carol Oates del 2002.
Gillian Brauer è una studentessa completamente affascinata dal suo professore di poesia al college, Andre Harrow, e dalla moglie scultrice, Dorcas. L’intreccio fra i tre si fa progressivamente torbido e pericoloso fino alla vendetta finale di una Gillian trasformatasi, finalmente, da preda in cacciatrice.

Approfondimenti sull’autrice

Su YouTube è disponibile il video della vittoria del National Book Award for Fiction del 2022.

Da ascoltare anche questa intervista a Tess Gunty per Barnes & Noble in cui cita le sue ispirazioni letterarie.

Bye Bye vitamine di Rachel Khong

copertina del romanzo Bye Bye vitamine: fondo rosa e in primo piano un paio di scarpe appese a un filo dell'alta tensione, scarpe che contengono fiori rosa.

In Bye Bye Vitamine di Rachel Khong, edito da NN editore nella traduzione si Silvia Rota Sperti, c’è Ruth che torna a casa nella Vigilia di Natale per rimanerci un anno – o almeno così immagina – perché hanno bisogno di lei: il padre mostra i primi segni della malattia neurodegenerativa che gli è stata diagnosticata, l’Alzheimer, e la sua storia d’amore con Joel è finita, non ha più senso rimanere a San Francisco. Bye Bye Vitamine, allora, è il diario dello smarrimento dopo la fine di una storia, dell’accettazione della malattia di un padre e della rassegna inevitabile di tutti i ricordi, gli errori e gli episodi del passato.
Le vitamine del titolo fanno parte di quei piccoli gesti che si mettono in atto per respingere il dolore. Alla diagnosi di Alzheimer la madre vieta l’alluminio, si ossessiona con centrifugati e cibo salutare e butta giù compresse di B-12 e succo di sedano. Si reagisce così al dolore e alla paura, prendendo le decisioni più inaspettate e folli, costruendo nuove routine che si crede salvino dal gorgo della tristezza, ma che poi finiscono abbandonate poco dopo aver cominciato. E se non ci fosse un piglio comico in questo romanzo, sarebbe anche una scelta struggente: una patetica, eppure profondissima, necessità di riparare la vita con piccoli cerotti colorati anche se hai un male cane perché ti sei tagliato con la carta, ma almeno i disegni dei cerotti distraggono un poco e fanno sorridere.

Con una scrittura veloce e istintiva, che segue di fatto i pensieri e le associazioni mentali del personaggio protagonista, Rachel Khong costruisce un romanzo che è un po’ memoir e un po’ autoanalisi.

Copertina anglosassone del romanzo Bye Bye Vitamine, scritta nera su fondo di silhouette di limoni colorati di fucsia, giallo e arancione.Come si elabora il declino, figurato e metaforico, di un genitore? Come si convive con la sua malattia, il passato imperfetto e l’urgenza di stargli lontana perché la vicinanza porta solo dolore?
C’è una rassegnazione diffusa nella prima metà di Bye Bye Vitamine, che Ruth combatte con una vecchia amica, i ricordi, il libretto rosso in cui il padre annotava i suoi pensieri ed episodi di quando era una bambina, le rinunce davanti ai rimedi curiosi della madre e i tentativi di riportare il fratello Linus a casa. Il primo tema portante della narrazione è proprio in questa rassegnazione: niente cambia davvero, soprattutto una diagnosi feroce, ma ci si prova lo stesso anche se la vita è “solo” un lungo tentativo, più o meno convinto, di tenere tutto insieme. Ruth lo fa bevendo con l’amica di sempre, ma anche intrecciando nuovi rapporti e regalando, qua e là, notizie totalmente scollegate dal contesto, eppure significative. Si legge del «tizio» che ha inventato i tergicristalli, del signor Alzheimer, persino dei pistacchi che sono la frutta secca meno calorica. E a che serve tutto questo? A nulla sembrerebbe, ma sarebbe un errore di valutazione. È anche con queste nozioni che si va avanti.

Nella seconda metà del romanzo la situazione cambia. La madre di Ruth si stufa persino dei rimedi temporanei, rinuncia al divieto dell’alluminio, alle vitamine, smette di cucinare, lavora e quando torna a casa si chiude nella sua stanza. Ruth vorrebbe dirle, nella sua maniera goffa e piena di aneddoti, che la malattia del padre non è una loro colpa, ma non è così facile. In qualche modo, però, si mette nuovamente in moto l’elaborazione emotiva degli avvenimenti degli ultimi mesi e da confusione e paura emergono i cocci di una vita precaria da rimettere insieme, con un nuovo senso. Rachel Khong, allora, fresca e diretta, porta avanti una analisi del tutto personale dei rapporti umani tipica degli autori di questa nuova letteratura ( Sally Rooney, Lisa Halliday, ecc.) delle donne millennial: profonda, drammatica, ma non priva di soluzioni. E questo topos non adombra in nessun modo il rapporto viscerale con il proprio io, su cui Ruth è talmente concentrata da dimenticare persino di mangiare. E per quanto la felicità di Ruth sia inevitabilmente calibrata sugli alti e bassi di questo padre imperfetto che si sta perdendo, e per quanto sia irresistibile la voglia di fare bilanci della propria vita e di quelle degli altri, a giugno scrive che va quasi meglio, pur nel continuo riaffiorare di ricordi, rimpianti, errori, insomma, della vita così com’è. E questa è la conquista del significato più profondo di un’esistenza, dettaglio che emerge evidente anche nell’analisi della traduttrice, Silvia Rota Sperti, in coda al romanzo:

Bye Bye Vitamine è una lezione su come sia importante vivere il presente spegnendo il resto, anche solo per pochi attimi.